Mario Sironi, Manifesto della pittura murale, pubblicato in: La Colonna, dic. 1933 (signato di Mario Sironi, Massimo Campigli, Carlo Carrà e Achille Funi (dieser beitrag wurde verfasst in: italienisch)
eingetragen von Alex Winiger am 16.03.2016, 10:34 (email senden)
Il Fascismo è stile di vita: è la vita stessa degli Italiani. Nessuna formula riuscirà mai a esprimerlo compiutamente e tanto meno a contenerlo. Del pari, nessuna formula riuscirà mai a esprimere e tanto meno a contenere ciò che si intende qui per Arte Fascista, cioè a dire un'arte che è l'espressione plastica dello spirito Fascista. L'Arte Fascista si verrà delineando a poco a poco, e come risultato della lunga fatica dei migliori. Quello che fin d'ora si può e si deve fare, è sgombrare il problema che si pone agli artisti dai molti equivoci che sussistono. Nello Stato Fascista l'arte viene ad avere una funzione educatrice. Essa deve produrre l'ètica del nostro tempo. Deve dare unità di stile e grandezza di linee al vivere comune. L'arte così tornerà a essere quello che fu nei suoi periodi più alti e in seno alle più alte civiltà: un perfetto strumento di governo spirituale. La concezione individuale dell'“arte per l'arte” è superata. Deriva di qui una profonda incompatibilità tra i fini che l'Arte Fascista si propone, e tutte quelle forme d'arte che nascono dall'arbitrio, dalla singolarizzazione, dall'estetica particolare di un gruppo, di un cenacolo, di un'accademia. La grande inquietudine che turba tuttora l'arte europea, è il prodotto di epoche spirituali in decomposizione. La pittura moderna, dopo anni e anni di esercitazioni tecnicistiche e di minuziose introspezioni dei fenomeni naturalistici di origine nordica, sente oggi il bisogno di una sintesi spirituale superiore.
L'Arte Fascista rinnega le ricerche, gli esperimenti, gli assaggi di cui tanto prolifico è stato il secolo scorso. Rinnega soprattutto i “postumi” di essi esperimenti, che malauguratamente si sono prolungati fino al nostro tempo. Benché vari in apparenza e spesso divergenti, questi esperimenti derivano tutti da quella comune materialistica concezione della vita che fu la caratteristica del secolo passato, e che fu profondamente odiosa. La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull'immaginazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura, e più direttamente ispira le arti minori. L'attuale rifiorire della pittura murale, e soprattutto dell'affresco, facilita l'impostazione del problema dell'Arte Fascista. Infatti: sia la pratica destinazione della pittura murale (edifici pubblici, luoghi comunque che hanno una civica funzione), siano le leggi che la governano, sia il prevalere in essa dell'elemento stilistico su quello emozionale, sia la sua intima associazione con l'architettura, vietano all'artista di cedere all'improvvisazione e ai facili virtuosismi. Lo costringono invece a temprarsi in quella esecuzione decisa e virile, che la tecnica stessa della pittura murale richiede: lo costringono a maturare la propria invenzione e a organizzarla compiutamente. Nessuna forma di pittura nella quale non predomini l'ordinamento e il rigore della composizione, nessuna forma di pittura “di genere” resistono alla prova delle grandi dimensioni e della tecnica murale. Dalla pittura murale sorgerà lo “Stile Fascista”, nel quale la nuova civiltà si potrà identificare. La funzione educatrice della pittura è soprattutto una questione di stile. Più che mediante il soggetto (concezione comunista), è mediante la suggestione dell'ambiente, mediante lo stile che l'arte riescirà a dare un'impronta nuova all'anima popolare. Le questioni di “soggetto” sono di troppo facile soluzione per essere essenziali. La sola ortodossia politica del “soggetto” non basta: comodo ripiego dei falsi “contenutisti”. Per essere consono allo spirito della Rivoluzione, lo stile della Pittura Fascista dovrà essere antico e a un tempo novissimo: dovrà risolutamente respingere la tendenza tuttora predominante di un'arte piccinamente abitudinaria, che poggia sopra un preteso e fondamentalmente falso “buon senso”, e che rispecchia una mentalità né “moderna” né “tradizionale”; dovrà combattere quegli pseudo “ritorni”, che sono estetismo dozzinale e un palese oltraggio al vero sentimento di tradizione. A ogni singolo artista poi, s'impone un problema di ordine morale. L'artista deve rinunciare a quell'egocentrismo che, ormai, non potrebbe che isterilire il suo spirito, e diventare un artista “militante”, cioè a dire un artista che serve un'idea morale, e subordina la propria individualità all'opera collettiva. Non si vuole propugnare con ciò un anonimato effettivo, che ripugna al temperamento italiano, ma un intimo senso di dedizione all'opera collettiva. Noi crediamo fermamente che l'artista deve ritornare a essere uomo tra gli uomini, come fu nelle epoche della nostra più alta civiltà.
Non si vuole propugnare tanto meno un ipotetico accordo sopra un'unica formula d'arte — il che praticamente risulterebbe impossibile — ma una precisa ed espressa volontà dell'artista di liberare l'arte sua dagli elementi soggettivi e arbitrari, e da quella speciosa originalità che è voluta e rinutrita dalla sola vanità. Noi crediamo che l'imposizione volontaria di una disciplina di mestiere, è utile a temprare i veri e autentici talenti. Le nostre grandi tradizioni di carattere prevalentemente decorativo, murale e stilistico, favoriscono potentemente la nascita di uno Stile Fascista. Tuttavia le affinità elettive con le grandi epoche del nostro passato, non possono essere sentite se non da chi ha una profonda comprensione del tempo nostro. La spiritualità del primo Rinascimento ci è più vicina del fasto dei grandi Veneziani. L'arte di Roma pagana e cristiana ci è più vicina di quella greca. Si è arrivati nuovamente alla pittura murale, in virtù dei principii estetici che sono maturati nello spirito italiano dalla guerra in qua. Non a caso ma per divinazione dei tempi, le più audaci ricerche dei pittori italiani si concentrano già da anni sulla tecnica murale e sui problemi di stile. La vita è segnata per il proseguimento di questi sforzi, fino al raggiungimento della necessaria unità.
On avant-garde art and totalitarianism, in: Emily Brown, Mario Sironi's Urban Landscapes, in: Affron, Antliff, Fascist Visions, 1997, pp. 102—104. (dieser beitrag wurde verfasst in: englisch)
eingetragen von Alex Winiger am 16.03.2016, 10:34 (email senden)
«[Emilio] Gentile, as well as Walter Adamson, has furthered the view that Italian fascism presented itself as a 'secular religion' that bound the masses to the state through traditional forms of collective rites and worship. Here, too, it was the prewar avant-garde of futurism and La Voce whose 'modernist nationalism,' in the terms of Gentile, provided the theoretical basis for the new politics as well as the foundation for official fascist culture. By pinpointing the origins of fascist ideology in the years before World War I, and within the cultural (as opposed to the political) realm, we can now speak of a fascist modernism: one that disavowed the modernity of Enlightenment reason for another modernity of activism, instinct, and irrationalism. This approach also establishes a prestigious pedigree for both elitist attitudes toward the masses and the cult of violence in the avant-garde, whose own countercultural positon is usually associated with progressive liberal politics.»
«The difference between avant-garde and modernism has been a point of contention in the visual arts since the publication of Peter Bürger's Theory of the Avant-Garde [in 1974]. Bürger effectively dismantled the formalist-modernist paradigm made orthodox by Clement Greenberg and Theodor Adorno in Anglo-American cultural studies. Here avant-garde was equated with transgression on the level of stylistic hermeticism. Pure form became the content, as high art had to withdraw from the contaminating effects of mass culture to salvage its own autonomy. Bürger shows that the historical avant-garde did not aim at separating art from life but wanted to restore its social and political function. For Bürger, the essence of avant-garde ideology is a constant critique of the notion of the autonomy of art. Hence, the stylistic innovation and linguistic defamiliarization associated with modernism are not ends in themselves, but means of attacking the institution and commodification of art in bourgeois society. Moreover, popular culture, instead of being the enemy of the avant-garde posited by Greenberg, becomes, in Bürger's line of reasoning, its chief ally.
More than any other historical movement, futurism fulfills the criteria of direct political activism, the desacralization of the art object, and the boundless reach of aesthetic experience, yet it is noticeably absent from Bürger's discussion. One can only assume that the taint of authoritarian politics, by contrast to the left-wing affiliations of dada and surrealism, which Bürger favors, account for this exclusion. Futurism thus finds itself in the peculiar position of being central tu studies of Italian fascist culture and ignored in histories of the European artistic avant-garde. Indeed, Bürger states that the avant-garde cannot operate under fascist politics 'that liquidate the autonomous status' of art. He implies what Renato Poggiioli explicitly argues in his earlier book on the avant-garde, namely, that it depends on the liberal values of the bourgeois society it chooses to attack. The avant-garde can exist only in a society that tolerates artistic autonomy and a margin of dissent.
Yet if taken to its logical conclusion, was not the avant-garde ideal of merging art and life realized in totalitarianism, in the aestheticization of politics and daily existence? As Boris Groys argues [in 1992] in his book on the Russian avant-garde, 'reality itself became the material for artistic construction,' as absolute artistic control became synonymous with total political control. Is the avant-garde project realized in the aestheticization of politics or the politicization of aesthetics? A study of the italian situation is critical in moving toward an answer: there artists dedicated their art to politics in rebellion against art for art's sake, but the fascist state left the bourgeois values of artistic autonomy firmly in place. Unlike the Nazi or Stalinist regimes, fascism allowed the avant-garde and modernist styles a place in the artistic life of the nation — a story of survival that is at once most troubling and most telling.»